Dove
andavo nella notte?
Dove
caspita stavo andando?
Ero
come rapita. Seguivo i miei passi in automatico, uno dietro l'altro.
A
un certo punto della notte avevo solo sentito necessario il camminare
e così mi ero avviata nel bosco.
All our running ahead
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Era
piovuto, la strada era bagnata e aveva un'odore acre di terriccio,
quasi nauseabondo.
Io
avanzavo in silenzio per sentire il fruscio delle foglie che si
accartocciavano sotto i miei piedi, volevo essere sicura di fare
attenzione a ciò che pestavo, a cogliere ogni particolare del suono.
Solo questa attenzione riusciva a farmi dare un senso al mio essere
su quel sentiero in quella notte di luna crescente. L'attenzione mi rendeva tranquilla. L'aria frizzante
e gelata, respiro del vento, mi gonfiava i polmoni e il cuore
tamburellava al chiarore della pallida falce nel cielo.
Al
centro di una radura sulla quale si apriva il mio sentiero, scorsi
una figura dalle ampie vesti bianche e il capo chino su una
roccia.
Mi
avvicinai sussurrando il canto delle madri affinché non si
spaventasse
Sono
una donna della terra,
danzo con la luce della luna
la divinità è viva in me
danzo con la luce della luna
la divinità è viva in me
danzo nell'universo
la mia allegria è una medicina
Sono una bambina selvaggia
innocente libera e selvatica
ho tutte le età
le mie antenate sono vive in me
la mia allegria è una medicina
Sono una bambina selvaggia
innocente libera e selvatica
ho tutte le età
le mie antenate sono vive in me
Sono
sorella delle nuvole
so solo condividere
so che tutto è di tutti
e che tutto è vivo in me
so solo condividere
so che tutto è di tutti
e che tutto è vivo in me
Il
mio cuore è una stella
viaggio a bordo del mio spirito
sono figlia della terra.
viaggio a bordo del mio spirito
sono figlia della terra.
Rimasi
alle sue spalle fintanto che non terminai il canto, e quella
tamburellava a ritmo le dita sulla pietra.
-danzo nell'universo e la mia allegria è una medicina- cantai
ancora una volta, mentre con una piroetta mi portai davanti alla
creatura.
Quella
alzò il capo dalla pietra e ridemmo insieme timidamente poi
repentinamente, come cambia la pioggia dal sole nelle giornate di
primavera a Finisterre, le si rabbuiò il volto e senza guardare,come nell'ovatta della nebbia, mi chiese di andarmene.
risposi- ho fatto molta strada per arrivare fin qui-
- perché sei venuta tanto lontano?- ribatté
- mi ci hanno portato i miei piedi e le mie orecchie curiose del suono delle foglie calpestate-
le sue dita disegnavano rune sulla pietra
- non credi che sia abbastanza?-
- che cosa? La curiosità?-
-certamente, la curiosità è un eterno partire… dico non ne hai abbastanza? Pensi mai a come ci si deve sentire arrivati?
- dimmelo tu se vuoi togliermi questa curiosità.-
- perché credi che abbia la risposta?-
- in effetti fai solo domande ma forse le tue rune suggeriscono se non risposte, interpretazioni.-
- Non è così. Guarda la luna. Solo lei suggerisce interpretazioni.-
La
sua voce mi sembrava stanca così l'invitai in casa a bere una tisana di betulla e verbena per ristorarsi.
Mi
seguì senza troppo entusiasmo e una volta entrate, sedette a gambe incrociate sul
pavimento di legno.
Imbronciando
il volto mi disse: -C'è solo da imparare nel lento esercizio del
masticare giorni tutti uguali.
Persi lo slancio fissando l'orizzonte
e ora le ali pesano curvandomi la schiena-
cercai
di consolarla: -Imparerai ad aggomitolarti e le ali ti riscalderanno;
saranno la tua protezione-
-eppure
per camminare sono un peso morto- constatò risolutamente e
alzandosi concluse: -io non le voglio se non posso più volare-.
Si
avviò verso il tavolo. Estrasse un coltello dal cassetto e me lo
porse con decisione.
-
ora aiutami a camminare leggero.-
Rabbrividì
per la richiesta.
Eppure
era così deciso il suo sguardo, evidenza della chiarezza delle sue
idee,
che
non ebbi la forza per contraddire.
Afferrai
il coltello mentre deglutivo saliva amarissima. Come se la febbre mi
fosse piombata addosso all'improvviso tremavo clamorosamente e
respiravo a fatica.
L'angelo
si avvicinò e mi guardò dritto negli occhi.
Vidi
lunghi sentieri ombreggiati da enormi gelsomini. Mi parve di poterne
sentire il profumo.
La
creatura mi strinse fra le braccia e fui completamente pervasa dal piacere
dell'abbraccio.
Sorrisi allora e lascia che si voltasse.
Iniziai
a recidere le ali dalla base delle spalle.
Piangeva.
L'angelo piangeva, non si voleva fare udire e tratteneva i singhiozzi
stoicamente ma potevo vedere le sue mani insanguinate dalla stretta morsa dei suoi denti, che somatizzavano le grida di dolore che avrebbe voluto lanciare.
Eppure
non chiese mai, nemmeno per un momento, di fermarmi.
Non
so quanto tempo passò. La mia percezione era totalmente assoggettata
alla concentrazione sul taglio di quei tessuti di carne. Quando finii e finalmente riuscì
a staccare le ali dalla sua schiena saturai le ferite con il fuoco.
Ormai non più angelo ma umano con grandi cicatrici sulla schiena, si addormentò o più probabilmente aveva perso i sensi.
Ci mise molti giorni per riprendersi
ma infine una mattina risvegliandosi mi chiese di riaccompagnarlo nel
bosco così capii che era guarito.
Partimmo
che era ancora presto e l'erba coperta di brina.
Sul
sentiero, lui camminava con eleganza. I suoi passi erano leggeri e toccavano soavemente la terra.
Ci
fermammo davanti al fiume e meditammo.
Quando
il silenzio si fece intenso sentì chiaramente la sua voce, suonò
come fosse una carezza.
Disse solo: -sono arrivata.-
Aprì
gli occhi d'istinto e osservai lo spazio naturale attorno a me.
L'angelo
non c'era più.
Ascoltai
il fiume per un po' e ripensai alle parole che ci eravamo scambiate quando ci
incontrammo: "a
come ci si deve sentire arrivati e alla curiosità che è un eterno
partire".
Ora
la sapevo arrivata ed io ripartivo.
Mi
alzai e sussurrando il canto del circolo ritornai a casa
Simicca,
dal bosco delle idee incantante
dove ogni albero è un racconto
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