Oggi ho ricevuto la chiamata:
“Sai al nuovo centro commerciale c'è
una linea molto ben fornita di prodotti vegani e per il benessere
così ci chiedevamo se tu fossi interessata a fare qualche corso o
attività per promuoverli.”
Ecco che mi si palesa davanti la linea
separatoria fra marketing e marchetta.
Ci sono un po' di considerazioni da
fare, premettendo la buona fede del mio interlocutore.
1- Mi occupo di cucina biologica
vegana. Questo significa sì che produco“cibi del benessere” ma
occorre ben chiarire alla base cosa questo significhi.
2- Essere vegan significa fare una
scelta etica che è la stessa alla base della filosofia bio:
rispetto per madre terra e per tutti gli esseri che la abitano.
Io collaboro con una rete di
agricoltori/agricoltrici produttori/trici e consumatori/trici riunit* dall'intento di
adoperarci per costruire un modello differente di consumo in cui i/le protagonisti sino effettivamente i/le sol* che dovrebbero partecipare a
questo processo: consumatori/trici e produttori/trici.
In questo piccolo circuito diretto
oltre ai prodotti che scambiamo, coltiviamo in maniera sana i
rapporti interpersonali basati sulla fiducia e la condivisione dei principi della
filosofia bio.
Alla luce di queste considerazioni, mi
chiedo: se mai mi mettessi a fare corsi di cucina nei centri commerciali
questi cosa penserebbero di me?
Ed io, riuscirei alla mattina, a
guardarmi allo specchio, senza vergognarmi?
La critica che muovo al modello
economico dominante da supermercato verte fondamentalmente su 4
fattori:
1- l'industrializzazione del prodotto:
comprare un tofu al supermercato o qualsiasi burgher vegan
pre-confezionato e aiutato a resistere negli scaffali frigoriferi
grazie agli additivi e ai conservanti non può e non deve essere
considerato “cibo del benessere”
2- tutta la plastica e il cartone da
imballaggio per rendere più attrattive le confezioni non migliorano
la qualità del “cibo benessere” ma causano solo dispendio di
risorse.
3- per creare il nuovo centro
commerciale a Imola è stata completamente cementificata un'area verde.
4- l'area in questione è nel raggio di
1 km nemmeno dall'altro centro commerciale.
Alla
luce dei punti 3 e 4 che parlano del nuovo superstore su cui mi sono
già espressa sui social definendolo una fàta
ciustè
( dal
romagnolo: La
ciusté è quel marciume recondito soprattutto nella gente e nel
sistema, saltuariamente connessa alla sporcizia. La ciustè di oggi è
data dalla pessima abitudine dell'uomo di non ascoltare, di decidere
contro ogni senso e ogni logica di perseverare nell'errore e,
soprattutto, di danneggiare volutamente chi non ha il minimo
interesse nel cercare di comandare una situazione.
) credo che possiamo
tutt* concordare che si sia trattato di un investimento poco
strategico, di notevole impatto ambientale in una città che ha già
evidenziato enormi problemi ambientali ( dalla qualità dell'acqua
alla gestione della discarica)
Potete
chiamare chi volete per cercare di promuovere sta ciusté: dalle
veline ai comici o altri che lavorano per denaro e la viltà che comporta, ma
al bio green food abbiamo una missione che dice:
“sia
il cibo gioia per il palato, medicina per il corpo e balsamo per lo
spirito”
e ritengo che sia la mia fortuna più
grande potermi guardare allo specchio ogni mattina dicendomi “stai
facendo un buon lavoro” pertanto declino l'offerta e continuo a
boicottare i centri commerciali.
Mi sento dire spesso “ sei troppo
avanti”
no signor* siete voi ad essere dei/lle mentecatt*.
Simiccca
Nessun commento:
Posta un commento