sabato 4 marzo 2017

***La ciusté***

Oggi ho ricevuto la chiamata:
“Sai al nuovo centro commerciale c'è una linea molto ben fornita di prodotti vegani e per il benessere così ci chiedevamo se tu fossi interessata a fare qualche corso o attività per promuoverli.”

Ecco che mi si palesa davanti la linea separatoria fra marketing e marchetta.

Ci sono un po' di considerazioni da fare, premettendo la buona fede del mio interlocutore.

1- Mi occupo di cucina biologica vegana. Questo significa sì che produco“cibi del benessere” ma occorre ben chiarire alla base cosa questo significhi.

2- Essere vegan significa fare una scelta etica che è la stessa alla base della filosofia bio: rispetto per madre terra e per tutti gli esseri che la abitano.


Io collaboro con una rete di agricoltori/agricoltrici produttori/trici e consumatori/trici riunit* dall'intento di adoperarci per costruire un modello differente di consumo in cui i/le protagonisti sino effettivamente i/le sol* che dovrebbero partecipare a questo processo: consumatori/trici e produttori/trici.
In questo piccolo circuito diretto oltre ai prodotti che scambiamo, coltiviamo in maniera sana i rapporti interpersonali basati sulla fiducia e la condivisione dei principi della filosofia bio.

Alla luce di queste considerazioni, mi chiedo:  se mai mi mettessi a fare corsi di cucina nei centri commerciali questi cosa penserebbero di me?
Ed io, riuscirei alla mattina, a guardarmi allo specchio, senza vergognarmi?

La critica che muovo al modello economico dominante da supermercato verte fondamentalmente su 4 fattori:

1- l'industrializzazione del prodotto: comprare un tofu al supermercato o qualsiasi burgher vegan pre-confezionato e aiutato a resistere negli scaffali frigoriferi grazie agli additivi e ai conservanti non può e non deve essere considerato “cibo del benessere”
2- tutta la plastica e il cartone da imballaggio per rendere più attrattive le confezioni non migliorano la qualità del “cibo benessere” ma causano solo dispendio di risorse.
3- per creare il nuovo centro commerciale a Imola è stata completamente cementificata un'area verde.
4- l'area in questione è nel raggio di 1 km nemmeno dall'altro centro commerciale.

Alla luce dei punti 3 e 4 che parlano del nuovo superstore su cui mi sono già espressa sui social definendolo una fàta ciustè ( dal romagnolo: La ciusté è quel marciume recondito soprattutto nella gente e nel sistema, saltuariamente connessa alla sporcizia. La ciustè di oggi è data dalla pessima abitudine dell'uomo di non ascoltare, di decidere contro ogni senso e ogni logica di perseverare nell'errore e, soprattutto, di danneggiare volutamente chi non ha il minimo interesse nel cercare di comandare una situazione. ) credo che possiamo tutt* concordare che si sia trattato di un investimento poco strategico, di notevole impatto ambientale in una città che ha già evidenziato enormi problemi ambientali ( dalla qualità dell'acqua alla gestione della discarica)

Potete chiamare chi volete per cercare di promuovere sta ciusté: dalle veline ai comici o altri che lavorano per denaro e la viltà che comporta, ma al bio green food abbiamo una missione che dice:
sia il cibo gioia per il palato, medicina per il corpo e balsamo per lo spirito”
e ritengo che sia la mia fortuna più grande potermi guardare allo specchio ogni mattina dicendomi “stai facendo un buon lavoro” pertanto declino l'offerta e continuo a boicottare i centri commerciali.

Mi sento dire spesso “ sei troppo avanti”
no signor* siete voi ad essere dei/lle mentecatt*.

Simiccca

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