sabato 6 maggio 2017

l'incontro nella notte

Dove andavo nella notte?
Dove caspita stavo andando?
Ero come rapita. Seguivo i miei passi in automatico, uno dietro l'altro.
A un certo punto della notte avevo solo sentito necessario il camminare e così mi ero avviata nel bosco.
 All our running ahead
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Era piovuto, la strada era bagnata e aveva un'odore acre di terriccio, quasi nauseabondo.
Io avanzavo in silenzio per sentire il fruscio delle foglie che si accartocciavano sotto i miei piedi, volevo essere sicura di fare attenzione a ciò che pestavo, a cogliere ogni particolare del suono. Solo questa attenzione riusciva a farmi dare un senso al mio essere su quel sentiero in quella notte di luna crescente. L'attenzione mi rendeva tranquilla. L'aria frizzante e gelata, respiro del vento, mi gonfiava i polmoni e il cuore tamburellava al chiarore della pallida falce nel cielo.
Al centro di una radura sulla quale si apriva il mio sentiero, scorsi una figura dalle ampie vesti bianche e il capo chino su una roccia.

Mi avvicinai sussurrando il canto delle madri affinché non si spaventasse
Sono una donna della terra,
danzo con la luce della luna
la divinità è viva in me
danzo nell'universo
la mia allegria è una medicina
Sono una bambina selvaggia
innocente libera e selvatica
ho tutte le età
le mie antenate sono vive in me
Sono sorella delle nuvole
so solo condividere
so che tutto è di tutti
e che tutto è vivo in me
Il mio cuore è una stella
viaggio a bordo del mio spirito
sono figlia della terra.


Rimasi alle sue spalle fintanto che non terminai il canto, e quella tamburellava a ritmo le dita sulla pietra.
    -danzo nell'universo e la mia allegria è una medicina- cantai ancora una volta, mentre con una piroetta mi portai davanti alla creatura.
    Quella alzò il capo dalla pietra e ridemmo insieme timidamente poi repentinamente, come cambia la pioggia dal sole nelle giornate di primavera a Finisterre, le si rabbuiò il volto e senza guardare,come nell'ovatta della nebbia, mi chiese di andarmene.
    risposi- ho fatto molta strada per arrivare fin qui-
    - perché sei venuta tanto lontano?- ribatté
    - mi ci hanno portato i miei piedi e le mie orecchie curiose del suono delle foglie calpestate-
    le sue dita disegnavano rune sulla pietra
    - non credi che sia abbastanza?-
    - che cosa? La curiosità?-
    -certamente, la curiosità è un eterno partire… dico non ne hai abbastanza? Pensi mai a come ci si deve sentire arrivati?
    - dimmelo tu se vuoi togliermi questa curiosità.-
    - perché credi che abbia la risposta?-
    - in effetti fai solo domande ma forse le tue rune suggeriscono se non risposte, interpretazioni.-
    - Non è così. Guarda la luna. Solo lei suggerisce interpretazioni.-





La sua voce mi sembrava stanca così l'invitai in casa a bere una tisana di betulla e verbena per ristorarsi.
Mi seguì senza troppo entusiasmo e una volta entrate, sedette a gambe incrociate sul pavimento di legno.
Imbronciando il volto mi disse: -C'è solo da imparare nel lento esercizio del masticare giorni tutti uguali. 
Persi lo slancio fissando l'orizzonte e ora le ali pesano curvandomi la schiena-

cercai di consolarla: -Imparerai ad aggomitolarti e le ali ti riscalderanno; saranno la tua protezione-
-eppure per camminare sono un peso morto- constatò risolutamente e alzandosi concluse: -io non le voglio se non posso più volare-.
Si avviò verso il tavolo. Estrasse un coltello dal cassetto e me lo porse con decisione.
- ora aiutami a camminare leggero.-
Rabbrividì per la richiesta.
Eppure era così deciso il suo sguardo, evidenza della chiarezza delle sue idee,
che non ebbi la forza per contraddire.
Afferrai il coltello mentre deglutivo saliva amarissima. Come se la febbre mi fosse piombata addosso all'improvviso tremavo clamorosamente e respiravo a fatica.



L'angelo si avvicinò e mi guardò dritto negli occhi.
Vidi lunghi sentieri ombreggiati da enormi gelsomini. Mi parve di poterne sentire il profumo.
La creatura mi strinse fra le braccia e fui completamente pervasa dal piacere dell'abbraccio.
Sorrisi allora e lascia che si voltasse.
Iniziai a recidere le ali dalla base delle spalle.
Piangeva. L'angelo piangeva, non si voleva fare udire e tratteneva i singhiozzi stoicamente ma potevo vedere le sue mani  insanguinate dalla stretta morsa dei suoi denti, che somatizzavano le grida di dolore che avrebbe voluto lanciare.
Eppure non chiese mai, nemmeno per un momento, di fermarmi.
Non so quanto tempo passò. La mia percezione era totalmente assoggettata alla concentrazione sul taglio di quei tessuti di carne. Quando finii e finalmente riuscì a staccare le ali dalla sua schiena saturai le ferite con il fuoco.
Ormai non più angelo ma umano con grandi cicatrici sulla schiena, si addormentò o più probabilmente aveva perso i sensi.
Ci mise molti giorni per riprendersi ma infine una mattina risvegliandosi mi chiese di riaccompagnarlo nel bosco così capii che era guarito.
Partimmo che era ancora presto e l'erba coperta di brina.
Sul sentiero, lui camminava con eleganza. I suoi passi erano leggeri e toccavano soavemente la terra.
Ci fermammo davanti al fiume e meditammo.
Quando il silenzio si fece intenso sentì chiaramente la sua voce, suonò come fosse una carezza.
 Disse solo: -sono arrivata.-
Aprì gli occhi d'istinto e osservai lo spazio naturale attorno a me.
L'angelo non c'era più.
Ascoltai il fiume per un po' e ripensai alle parole che ci eravamo scambiate quando ci incontrammo: "a come ci si deve sentire arrivati e alla curiosità che è un eterno partire".
Ora la sapevo arrivata ed io ripartivo.

Mi alzai e sussurrando il canto del circolo ritornai a casa


Simicca, 
dal bosco delle idee incantante
dove ogni albero è un racconto